Sara Canini, per il blog Sogni di Carta, ha letto e recensito la mia ultima “fatica”: La progenie di Abaddon. Siete curiosi di leggere il suo parere? Io lo sono stato e devo ammettere che è una recensione piacevolmente atipica… curiosi? Colgo l’occasione per ringraziare il blog e Sara!
Eccovi il link: La progenie di Abaddon per Sogni di Carta.
Di seguito il link di rimando alla pagina dedicata al romanzo e tutto ciò che vi riguarda: QUI
RECENSIONE
Come sempre, per archiviazione personale, incollo qui la recensione. Ma vi invito a leggerla sul blog stesso, seguendo il link messo sopra, vi raccomando.
Leggere è un’esperienza solitaria, almeno in apparenza: si prende un libro, ci si rintana in un angolo quieto e si scorre imperterriti fino alla fine. Di solito, immaginiamo i dialoghi tra i personaggi; tutto da soli, senza alcun tipo d’influenza.
Quand’è che la lettura diventa condivisione, anziché dono e ricezione? Quando il regalo dell’autore, ossia la storia, diventa materiale di scambio tra lettori. Nel momento in cui si includono gli altri nelle riflessioni generate dal libro, inevitabilmente, si finisce per essere influenzati dall’altrui sentimento, pensiero e/o esperienza.
Ma cosa accade quando queste riflessioni puntano il dito sulle ombre presenti in ognuno di noi? Il caos.
Un particolare che sto notando nella produzione DarkZone di seconda generazione, ovvero nei seguiti o nelle seconde pubblicazioni, è la sicurezza con la quale gli autori si approcciano al foglio bianco: parlo della prima pagina e di quelle (successive) che fanno da introduzione alla storia. Nel caso delle saghe, il filo narrativo non si spezza con il cambio di volume o il semplice passare del tempo, quindi è normale ritrovarsi nel bel mezzo della ressa o in caduta libera verso la fine, in un volo cominciato addirittura in un altro testo. Negli autoconclusivi, gli stand-alone come “La progenie di Abaddon”, lo scrittore DarkZone ha preso coscienza dei propri mezzi e si fa audace: accoglie il lettore sul pianerottolo e anziché invitarlo ad entrare, gli mostra la strada per la porta sul retro.
Himmel è uno di questi. Il suo stile pulito, mai troppo intricato e piacevole per chi punta alla sostanza, senza dimenticare la neutralità della forma (che solitamente aiuta a far emergere le trame più complesse), accende la curiosità con un prologo evocativo e poi, una pecca a mio avviso, la spegne con un’introduzione un po’ dispersiva, ma che si raccorda armoniosamente con trama e finale. L’autore sperimenta l’entrata laterale, quella che fa credere di essersi persi, ma che invece porta dritti al cuore della vicenda.
Come nei racconti della Christie o in una puntata de “La signora in giallo”, gli indizi sono sparsi un po’ ovunque e il lettore, ormai rapito dall’indubbio fascino della trama, resta vittima di dettagli: il libro ha il fine di prestarsi a una seconda lettura e stimolando la curiosità in maniera così sibillina, “La progenie di Abaddon” dimostra di aver centrato uno dei suoi obiettivi.
Himmel parla del contrasto storico tra Bene e Male, rappresentando entrambi come due gerarchie allo specchio: facce della stessa medaglia, ma casacche diverse. Le avventure di Kelo e Bhor, dei quasi balordi sui cui grava il peso di alleggerire le cupe atmosfere del racconto, si intrecciano alla ricerca di Telion e Reya e alla fuga di Luce dalla progenie di Abaddon, colui che personifica il Male e che si contrappone a Or, ossia la guida della legione Splendente.
La precisione chirurgica con cui vengono descritte le due fazioni non fa altro che suggerire quanto queste siano, di fondo, praticamente uguali; cambiano gli ideali, divergono gli scopi, si differenziano i colori, ma il Bene e il Male rappresentano sempre due metà dello stesso intero. Non si tratta di un’unione esterna all’essere umano, come in amore, dove “due è il contrario di uno e della sua solitudine” (citando il familiare De Luca), ma si sta parlando dell’uno intero, autonomo e completo che dovrebbe essere l’uomo evoluto. Colui che ha abbracciato se stesso e tutte le sue componenti, per quanto diverse e opposte queste possano essere. Se applicassimo questo ragionamento a qualsiasi altra contrapposizione (dalla politica alle semplici opinioni), ci renderemmo conto di quanto venga meno l’importanza del colore dello scudo in confronto alla indiscutibile incompletezza di ognuno di noi, a cui serve anche l’opposto per poter crescere, evolvere. Sommare.
Che lo voglia o no, “La progenie di Abaddon” ha come missione crociata quella di dimostrare a noi (soldati di parte, qualsiasi parte) la necessità di abbracciare il negativo, ma non inteso come difetto, bensì come riflesso a specchio di ciò che crediamo di essere e che (parzialmente, per metà) siamo. La somma tra giorno e notte corrisponde alla giornata; l’unione fisica tra uomo e donna corrisponde al proseguo della vita; il mescolare di bianco e nero corrisponde alla creazione del grigio, a cui seguono milioni di livelli di intensità. Implicitamente, nel suo ultimo lavoro, Rob Himmel punta il dito sull’Equilibrio e sull’Armonia di colui che vive in maniera illuminata, perché consapevolmente cosciente della bivalenza del proprio essere. Perché chi che abbraccia entrambe le vie è colui che vivrà in pace e soprattutto, in verità.
A cura di Sara Canini